Allo scopo di tratteggiare le problematiche interpretative poste dalla fattispecie in esame, è d’uopo dare atto dell’evoluzione normativa che ha riguardato l’art. 416 ter c.p., con particolare riferimento ai profili successori e ai suoi rapporti con il concorso esterno in associazione mafiosa.
L’art. 416 ter c.p., più specificatamente, disciplina il delitto di scambio elettorale politico – mafioso, quale delitto contro l’ordine pubblico di cui al Titolo V, Libro II, del codice penale.
La fattispecie, dunque, tutela l’ordine pubblico nel senso di garantire che l’assetto democratico italiano non risulti sovvertito da accordi illeciti tra mafia e politica.
Quanto all’analisi degli elementi costitutivi del reato in questione è d’uopo dare atto, preliminarmente, dell’evoluzione normativa che ha interessato la fattispecie in esame, introdotta per la prima volta nel corpus codicistico con legge n. 356/1992.
Prima delle stragi di mafia che hanno connotato il clima sociale e politico antecedente alla riforma, invero, la pericolosa compenetrazione tra fenomeno mafioso e attività politica non risultava a tal punto manifesta e, conseguentemente, il codice Rocco del 1930 non rispondeva adeguatamente alle esigenze di tutela sorte in quegli anni. Il Legislatore del 1992, quindi, intervenne sul codice in due modi. Anzitutto, introdusse nella parte descrittiva dell’art. 416 bis, co 3, c.p., dedicato alle associazioni a delinquere di tipo mafioso, una finalità ulteriore idonea a connotare l’attività di dette associazioni e, cioè, tra le altre, quella di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare a sé o ad altri voti in occasione di consultazioni elettorali. In secondo luogo, elaborò l’art. 416 ter c.p. volto a punire il politico che, in cambio di un corrispettivo in denaro, ottenesse la promessa del procacciamento di voti da parte di un associato ex art. 416 bis c.p.
La norma, così come formulata nel 1992, tuttavia, risultò da subito inadeguata a fronteggiare la crisi istituzionale sorta per effetto delle infiltrazioni mafiose nella politica sia a livello locale che nazionale poiché, da un lato, essa sanzionava solo il politico disonesto, lasciando impunito il procacciatore di voti (anche in ragione della valenza meramente descrittiva dell’art. 416, co 3, c.p.) e, dall’altro, si limitava a punire lo scambio di voti contro denaro, mancando di considerare le altre utilità che in concreto avrebbero potuto giustificare detto scambio, quali, ad esempio, l’aggiudicazione di un appalto o l’assunzione di lavoratori.
Con legge n. 62/2014, allora, il Legislatore ha provveduto ad una modifica dell’art 416 ter c.p. nel senso di prevedere, quale condotta punibile, quella del mero accordo tra politico e mafioso volto allo scambio di voti verso il corrispettivo di un prezzo in denaro o altra utilità. La nuova fattispecie, dunque, in aperta deroga all’art. 115 c.p., anticipa la tutela sanzionando il pactum sceleris avente ad oggetto la mera promessa di procacciamento di voti in cambio di qualunque tipo di utilità ed estendendo la punibilità ad entrambe le parti dell’accordo criminoso secondo lo schema dei cosiddetti reati – contratto.
Ancora, la fattispecie di cui all’art. 416 ter c.p., così modificata, richiede, altresì, che il procacciamento di voti oggetto del patto di scambio sia realizzato con le modalità di cui al terzo comma di cui all’art. 416 bis c.p. e, cioè, avvalendosi del metodo mafioso, consistente nell’approfittamento della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, nonché della condizione di assoggettamento e di omertà che ne è diretta conseguenza.
Ebbene, detto profilo di novità ha suscitato notevoli dubbi in dottrina e giurisprudenza con riguardo alla disciplina applicabile a coloro che abbiano commesso il fatto prima della riforma del 2014.
Secondo una prima tesi, infatti, trattandosi di un elemento di novità rispetto alla disciplina precedente, risulterebbe non più incriminato lo scambio elettorale politico – mafioso che non abbia contemplato espressamente l’utilizzo dell’intimidazione e della prevaricazione proprie delle associazioni criminali di cui all’art. 416 bis c.p. per il procacciamento di voti, con conseguente applicazione dell’art. 2, co 2, c.p. in virtù di una parziale abolitio criminis.
Per una seconda tesi, invece, il nuovo art. 416 ter c.p. si porrebbe in rapporto di continuità con la precedente fattispecie incriminatrice, atteso che si limiterebbe a specificare le modalità di estrinsecazione della condotta criminosa. Ciò posto, trattandosi di un’ipotesi di successione di leggi nel tempo modificative ed entrambe incriminatrici, al reo dovrebbe applicarsi la disciplina più favorevole di cui all’art. 2, co 4, c.p. e, cioè, in caso di mancato accordo sull’utilizzo del metodo mafioso, quella precedente alla riforma del 2014.
Un’altra novità di cui all’art. 416 ter c.p. ha riguardato la punibilità non solo, come poc’anzi evidenziato, del politico che accetti la promessa di procurare voti mediante l’utilizzo del metodo mafioso in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o altra utilità, ma anche di colui che prometta di procurare voti con la suddetta modalità. A ben guardare, dunque, la nuova norma non incrimina soltanto l’accordo con la mafia, ma con tutti coloro che si impegnino ad appoggiare la competizione elettorale facendo ricorso al metodo mafioso. Il procacciatore di voti, quindi, può identificarsi anche con un soggetto estraneo rispetto al sodalizio criminoso, circostanza che ha fatto sorgere in dottrina e giurisprudenza un dibattito circa i rapporti intercorrenti tra l’art. 416 ter c.p. e il concorso esterno in associazione mafiosa rilevante ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p.
Sul punto merita preliminarmente precisare cosa debba intendersi per concorso esterno nell’associazione mafiosa e se detta figura debba ritenersi ammissibile nell’ordinamento giuridico italiano.
Orbene, l’art. 110 c.p. costituisce una clausola generale di estensione della punibilità volta a far rientrare nell’area del penalmente rilevante i contributi atipici dei concorrenti alla realizzazione della fattispecie incriminatrice di parte speciale, i quali, altrimenti, non corrispondendo allo schema tipico previsto dal codice, risulterebbero non punibili.
Il contributo atipico dei concorrenti nel reato può essere di carattere morale ovvero materiale: nel primo caso si tradurrà nel rafforzamento o nella determinazione in altri di un proposito criminoso prima inesistente, salvo il caso eccezionale del cosiddetto omnimodo facturus; nel secondo caso si tradurrà in un apporto agevolatore di tipo causale al fatto criminoso, che lo abbia reso più facile, più sicuro, più veloce.
In astratto l’art. 110 c.p. può combinarsi, indifferentemente, tanto con le fattispecie di reato monosoggettive, cosiddette a concorso eventuale, quanto con quelle plurisoggettive, cosiddette a concorso necessario.
Per quanto d’interesse in questa sede, poi, il più acceso dibattito sul tema ha riguardato la compatibilità tra l’art. 110 c.p. e la fattispecie di associazione a delinquere di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p. e, cioè, la punibilità del concorso esterno in associazione mafiosa.
Più specificatamente, un primo orientamento interpretativo negava cittadinanza nell’ordinamento italiano a tale forma di concorso sull’assunto che la fattispecie base richiede un dolo specifico che, tuttavia, non sarebbe ravvisabile in capo al concorrente meramente eventuale, il quale, non volendo realizzare il programma criminoso condiviso dagli altri membri del clan e non volendo far parte dell’associazione mafiosa, si limiti a fornire un contributo solo occasionale al mantenimento in vita della stessa ovvero allo svolgimento della sua attività criminosa.
Un secondo indirizzo, maggioritario, individuava, invece, nell’art. 110 c.p. il fondamento legislativo del concorso eventuale nel reato associativo. Detto contributo, a partire dalla sentenza Mannino del 2005, resa a Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione, deve qualificarsi come un contributo agevolatore causalmente rilevante a favorire l’attività della cosca, sulla base di un giudizio controfattuale da effettuarsi ex post.
In questo senso, appare di intuitiva evidenza che l’ambito di applicazione delle due fattispecie oggetto della presente analisi non risulta in alcun modo coincidente, ma, bensì, distinto.
Alla luce dei citati approdi giurisprudenziali, infatti, si avrà concorso esterno in associazione mafiosa rilevante ex artt. 110 e 416 bis c.p. quando il Pubblico Ministero sia in grado di provare che lo scambio ha concretamente determinato un vantaggio per l’associazione mafiosa e, cioè, quando il contributo del politico sia stato causalmente rilevante ai fini del rafforzamento della cosca.
Viceversa, si avrà scambio elettorale politico – mafioso quando manchi la prova di detto contributo causale, atteso che l’art. 416 ter c.p. disciplina un’ipotesi di delitto istantaneo di mera condotta, limitandosi a punire il mero accordo volto a realizzare lo scambio.
In conclusione, non è irrilevante sottolineare che la nuova fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416 ter c.p. se, da un lato, rappresenta un passo in avanti nella lotta alla mafia in quanto anticipa la tutela penale in ragione della rilevanza del bene giuridico tutelato, estende la punibilità ad entrambe le parti dell’accordo illecito e dà rilevanza alla promessa di una qualunque altra utilità diversa dal denaro come corrispettivo del procacciamento di voti, dall’altro lato restringe l’area del penalmente rilevante prevedendo come oggetto dell’accordo anche l’utilizzo del metodo mafioso, rendendo, sotto questo profilo, più gravosa la prova del fatto.
Avv. Laura Lenzi
